I Performance 1994 – II Performance 2001 (Firenze)

MUSEO TRANS-UNTO

(Performance video)

Video VHS di 18 minuti circa 1998 (testimonianza di una performance)

Il video è stato girato il giorno della inaugurazione del Museo Trans-Unto (15 agosto 1994). Si percorre il museo-appartamento abitato, insieme alla Guida (il Direttore stesso). I semplici oggetti, le tracce sui muri, la quotidianità, viene trasfigurata dalle attribuzioni che il Direttore del Museo Trans-Unto indica agli ignari turisti.

Il concetto sotteso è “social-artistico-antropologico”, nel senso che intreccia le avanguardie storiche con la museificazione totalizzante (che ha investito le stesse avanguardie).
Nella società di massa, lo sciamano (di cui parlava Beuys) è sostituito dalla guida turistica: l’unica che ha realmente il potere di indicare cosa è arte e cosa no all’ignaro spettatore incantato, ma passivo

Ideazione e performer
Lorenzo Pizzanelli

Riprese
Federico Bucalossi e Angelo Italiano

Montaggio
Federico Bucalossi

INSTALLAZIONE di 100 mq e PERFORMANCE quotidiana (dal 1994).
Inaugurato il 15 Agosto 1994.
All’interno del muso sono stati realizzati numerosi eventi espositivi e teatrali.

INSEGNA
insegna del Museo TRANS – UNTO
Neon e display
70x70x15 cm.

BREVE RASSEGNA DI EVENTI

1994: Performance VISITA GUIDATA (partenza con bus navetta dal Museo degli Uffizi). Azione teatrale “DEBORDEMENT” di Anna Andreotti

1995: HAPPENING STOICO (evocazione dell’effetto “grande expo“: esposizione collettiva e video danza in diretta dai portici condominiali)

1996: Performance IL CONDOMINIO DELL’ARTE (video diretta e conferenza all’interno del Museo Trans – Unto)

2001: Seconda edizione della Performance VISITA GUIDATA

2001: Collaborazione con la Compagnia LUT di Siena – teatro in cucina con l’attore Ugo Giulio Lurini

2002: Collaborazione con la Lift Gallery di Roma (Dir. Pino Rosati) – utilizzo dell’ascensore condominiale come ulteriore luogo espositivo e performativo

A proposito delle motivazioni che sono alla base della costituzione del Museo Trans-Unto, Pizzanelli afferma che:

I giovani non hanno spazi dove esporre e si è discusso troppo sull’assenza di un museo d’arte contemporanea a Firenze. Adesso c’è

“Trans perché in divenire, unto perché sporco come ogni casa vissuta ma anche perché luogo sacro”. Pizzanelli concepisce il Museo Trans-Unto anche come una novità da lasciare ai posteri, una sorta di reperto archeologico potenziale ma allo stato latente, in attesa di essere (ri)scoperto.

Visita guidata Museo Trans-Unto

Visita guidata Museo Trans-Unto

Azione teatrale “DEBORDEMENT” di Anna Andreotti

Azione teatrale “DEBORDEMENT” di Anna Andreotti

LORENZO PIZZANELLI

Il Museo Trans-Unto è un museo-appartamento abitato, è quotidianità e domesticità giustapposte all’indifferenza: privo di Guida (il Direttore del museo stesso) non esiste. I semplici oggetti, le tracce sui muri, la vita, viene trasfigurata dalle attribuzioni che il Direttore indica agli ignari turisti od ospiti del “territorio magico“.

Il concetto stesso è “social-artistico-antropologico“, nel senso che intreccia le riflessioni sulle avanguardie storiche e la museificazione totalizzante (che ha investito le stesse avanguardie). Nella società di massa tutto è arte e tutti siamo artisti, nella svalutazione e transustanziazione che questo comporta.

Lo sciamano (di cui parla Beuys) è sostituito dalla guida turistica: l’unica figura che ha realmente il potere di indicare cosa è arte e cosa no, all’indottrinato spettatore, incantato ma reso passivo dai bombardamenti mediatici contemporanei.

(Prima ancora di cominciare a scrivere, mi sembra doverosa una premessa di carattere personale. Io credo che Lorenzo Pizzanelli sia un pazzo. A modo suo, certamente. Ma solo un pazzo può nominare casa sua Museo, sua madre Conservatrice, se stesso Direttore- così come i pazzi delle storielle dicono di essere Napoleone. E solo un pazzo contagioso e felice può convincere altri artisti ad esporre in questo Museo, e gente a visitare le mostre che periodicamente il Museo Trans-Unto propone. Inquietante problema, quello di definire i limiti della follia.)

Alberto Boatto sostiene oramai da qualche anno che la congiunzione tra i viaggi interplanetari e lo schermo televisivo – dotandoci della possibilità di uno sguardo “dal di fuori2 – ha trasformato la Terra in una sorta di ready-made. Ma, tornando a scendere su questa terra, nel nostro piccolo siamo ormai tutti tendenzialmente intenzionati a diventare ready-made ambulanti, desacralizzati, caricati di marche e segni di appartenenza che dichiarano in un colpo d’occhio le molteplici tribù a cui ogni componente della nostra identità appartiene (quante tribù si possono enucleare nella mia identità di maschio adulto bianco italiano, e – mentre scrivo – critico d’arte?).
E’ un guanto di sfida che la società lancia anche all’arte, e che alcuni artisti hanno raccolto mettendo in gioco il proprio ruolo identitario, facendolo slittare “di lato”.

Sono operazioni di anamorfosi concettuale, quelle che Lorenzo Pizzanelli organizza al Museo Trans-Unto (così come quelle “ a cura di Nello Teodori “, i convegni e i CD Rom dell’italofrancese Alberto Sorbelli o i network telematici di Tommaso Tozzi e Claudio Parrini). In tutte queste operazioni, come in altre che non si elencano per non riscrivere l’elenco telefonico, si incontra un modello di artista che non è più un creatore romantico, e neppure un postmoderno organizzatore del riciclaggio e compostaggio di sedimenti di memorie. In questi casi è in questione piuttosto la domanda cui si intitolava alcuni anni fa un bel saggio di Michel Foucault: “Che cos’è un autore?”. Una domanda che si spinge a profanare l’ultimo valore rimasto in piedi dopo un secolo di dissacrazioni e rovine che hanno sgretolato e cariato tutte le riconoscibilità del corpo dell’arte – quello dell’identità, e della responsabilità – autoriale.

Che cos’è Lorenzo Pizzanelli, artista, “autore” (non si intende qui parlare del suo lavoro, disegni, installazioni, ci si riferisce “soltanto” alla sua carica di direttore del Museo Trans-Unto)? Organizza, telefona, invita artisti e riceve visitatori. Si assume la responsabilità autoriale di un brulicare di presenze e di segni nella domestica intimità diventata luogo pubblico, da esposizione, che è il Museo (parodia o esasperazione della buffa moda delle home-gallery), sottoponendosi al tormento – o arrogandosi il diritto – (in quanto artista) di esibire le viscere della propria casa invase dalla metastasi dei segni dell’arte “altrui” (sono sempre superaffollate le mostre del museo; ad esempio all’Happening stoico del 1995 partecipavano tredici artisti degli ambiti più diversi). Segni che diventano appunto ultra ready.made, viventi una doppia vita. La propria, di “opere d’arte”. E quella di griffe che attestano la visibilità del ruolo che Pizzanelli assume in qualità di “autore”.

Dal Catalogo Museo Trans-unto 1997

Se, come mostra Stanley Fish in un saggio del 1980, per stabilire l’appartenenza di un qualunque testo alla categoria della letteratura, della poesia o di altro sono decisive le condizioni poste dalle istituzioni che presiedono alla sua circolazione o, in altre parole, se la comprensione di un testo dipende dal contesto in cui esso si viene a trovare piuttosto che dalla sua conformazione interna, appare chiaro come anche in in fatto di arte contemporanea le strutture della legittimazione estetica giochino un ruolo determinante nell’attribuzione dell’identità e del valore artistico di un’opera.

Queste strutture appartengono agli ambiti più svariati – dalla galleria privata, alla kunsthalle, dalla rivista specializzata al museo – e coinvolgono fattivamente la comunità dei critici, dei collezionisti, dei galleristi e del pubblico, “una cittadella dell’arte” (come la chiamava Tom Wolfe) piccola ma insostituibile nelle sue funzioni. Il che è quanto a dire: guardate l’arte non solo nel momento della sua produzione ma soprattutto in quello del suo uso (la famosa centralità della lettura di Fish).

Numerosi artisti – da Marcel Duchamp a Marcel Broodthaers con il suo “Musée des Aigles” – hanno riflettuto sull’importanza che il contesto ha assunto per l’arte contemporanea fin dalla costituzione di quest’ultima sul finire del XVIII secolo. E da quel momento in poi la cornice in pittura o il basamento in scultura hanno cominciato ad essere sentiti non più come datità indiscutibili ma come limiti problematici posti tra l’arte e la vita.

Il Museo Trans-unto di Lorenzo Pizzanelli si inserisce in questa linea evolutiva. Nella propria abitazione situata in un appartamento al terzo piano in via Torcicoda a Firenze, Pizzanelli ha infatti creato nell’agosto del 1994 un contenitore espositivo alternativo e inconsueto. Nella sua prima uscita pubblica lo spazio era caratterizzato da una divertita parodia dell’istituzione museale: un bus-navetta con partenza dalla piazza degli Uffizi faceva la spola con il condominio di via Torcicoda ed una professionale visita guidata dell’appartamento proponeva al pubblico alcuni derisori interventi sui muri e sulle suppellettili domestiche come opere di Mondrian, Johns, Pollock, Warhol. Tutta l’operazione verteva sul concetto di consacrazione dell’opera e sulla necessità di un suo definitivo oltrepassamento. “Trans-unto” dunque come “oltre il sacro”, qui il Cristo come “unto del Signore”.

All’interesse per i meccanismi della musealizzazione si sostituiva nell’aprile del 1995 (“Happening stoico”) quello per il funzionamento dei centri d’arte contemporanea e della produzione massificata e routinaria delle mostre d’arte moderna. Con questa seconda esperienza Pizzanelli apriva anche ad una dimensione di reale proposta dando modo a numerosi artisti di esprimersi all’interno del suo museo domestico e nei portici del piano terreno, risollevando così l’annoso problema della mancanza di spazi per l’arte nel comprensorio fiorentino.

Un ultimo evento, “Il con-dominio dell’arte” nel maggio 1996, si configurava infine come stravolta riproposizione dei convegni sull’arte contemporanea, momenti conviviali sul cui incremento e sulla cui convenzionalità non occorre certo dilungarsi. Quello del Trans-unto è stato però fin da subito un convegno “sui generis”. Antropologi, artisti, galleristi, critici e psicologi si sono trovati coinvolti nell’esperimento di una bizzarra televisione a circuito chiuso dotata del proprio “bravo presentatore” (lo stesso artista), di divertenti spot pubblicitari, di telecamere e di monitor attrezzati per la “condominio-visione”.

Museo, mostra e convegno sono dunque i simulacri attraverso i quali lo sguardo lucido ed ironico di Lorenzo Pizzanelli ha indagato i contenitori istituzionali, i “contesti” del fare arte oggi. Ma rappresentano anche gli ingredienti di un progetto complessivo proposto al pubblico ed alle istituzioni come vera e propria opera d’arte, da immettere a sua volta proprio in quello stesso sistema di mediazioni, legittimazioni e consacrazioni dal quale tutto aveva preso le mosse.

Dal dal catalogo Museo Trans-Unto 1997

É chiaro che la percezione dell’opera d’arte nell’epoca delle grande esposizioni non poteva che trasformare tutte le avanguardie e la stessa Fluxus in una soap opera o telenovela domestica anche se col sottofondo alla Cage. Questa la saga del Trans-Unto e del suo direttore che dispensa visite guidate, riti quotidiani, esorcismi domestici, in un museo-appartamento abitato che permette performances segrete.
Non è dunque più il caso di ripensare gli spazi domestici come territori magici?
Se negli anni ‘60 – ‘70 il mondo intero poteva diventare un’opera d’arte, magari collettiva, oggi, negli anni ‘90, un museo d’arte contemporanea come il Trans-Unto è il ricettacolo dell’autentico falso. Falso perché di un’ideologia già fuori moda, autentico in quanto transitoria l’attribuzione del valore: i Malevitch tornano ad essere prese per la luce, l’Oldenburg il frigorifero della Ignis, il grasso di cucina attribuito un momento prima a Beuys può essere sgrassato, gli allevamenti di polvere duchampiani rimossi da un aspirapolvere di ispirazione kunsiana ecc.

La transustanziazione è così diventata un processo continuamente reversibile come per il sangue di San Gennaro, ma i miracoli anche quando si ripetono cambiano di connotazione e valore: l’originale è un “eterno perduto” (1). Quest’ultimo, l’originale, il vero, preso per buono dalla storia che vale più del falso (2) può dare grossi problemi. Infatti ogni verità assunta come universale può diventare una minaccia per la collettività e soprattutto per l’individuo.
Chi nel nostro secolo ha temuto di più il museo come estetica universale ed omologante se non gli artisti?

In quest’ottica l’artista può essere visto come un “martire iconoclasta” (martire perché flagellato dalle antiche icone – iconoclasta perché cerca di redimersi combattendole) che salito poi agli altari si trasforma a sua volta in icona flagellante.
Questa potrebbe essere la versione più tragica della saga transuntiana: un cosciente nomadismo morale ancor più che materiale.
Con questo patto segreto, gli artisti (viventi e non abitanti il museo) vengono invitati ad esporre o ad esporsi seguendo l’inevitabile rito sacrificale: diventeranno vittime o carnefici?
L’accidente occidentale e i suoi luoghi delle muse potranno mai liberarsi dal martirio della telenovela o storia universale?

Firenze. Il frigorifero è presentato come un Oldenbourg, erroneamente firmato Daewood. Il calendario con la Marilyn di Warhol “è originale, anche se molto datato”. Nel bagno la riproduzione della Camera degli Sposi di Mantegna che dialoga con il WC. Di Duchamp, naturalmente. E poi il ripostiglio “degli scheletri”, dove tra libri accatastati e stampe antiche si ammirano un aspirapolvere, un trapano, bottiglie di solvente. Grottesco, surreale ma rigorosissimo nella sua essenza artistica, ecco il Museo Trans-Unto, la casa-museo di Lorenzo Pizzanelli, che si apre dietro la porta di un normale pianerottolo, in quel quartiere periferico e insospettabile che è l’Isolotto.

Qui Pizzanelli, autore multimediale (che per vivere ha fatto di tutto, da maschera in teatro al professore di disegno), ha creato con il beneplacito dei vicini uno “spazio utopico” in cui ospitare opere d’arte, spettacoli e installazioni.
Sarà questa la sede di “Conversazione con l’uomo nell’armadio, monologo tratto da Ian Mac Ewan che la Lut rappresenterà da domani a domenica (ore 21.30, 6 spettacoli a sera, su prenotazione al 338/3249440) nell’ambito di Airport.

Il protagonista Ugogiulio Lurini ci racconta la nascita del lavoro – per la regia di Giuliano Lenzi – “nato in un appartamento di Siena e cresciuto fino a diventare un vero spettacolo”. Prima in cucina, dove “il caso clinico” che racconta il suo percorso di vita spignatta ai fornelli ascoltando musica, alienato in un mondo ostile. Poi in salotto, dove sul freddo vetro di un tavolo inclinato inscenerà un suicidio cospargendosi di salsa di pomodoro.

La serata continua con la “visita” del museo guidata dal padrone di casa-direttore: Ringraziamo tutti i Fu Turisti per la loro presenza fuori dal tempo e dallo spazio e li informiamo che siamo arrivati alle pendici del museo Trans-Unto”. L’idea di Pizzanelli, che dietro ad una apparente stravaganza ha idee chiare e nobili, è quella di “creare un archivio di arte multimediale, aperta su prenotazione, a disposizione di tutti”.

Museo Trans-Unto, via Torcicoda 115/1. Tel 055 2469014 oppure www.museotrans-unto.org

da Il Corriere di Firenze – mercoledì 12 settembre 2001- Cultura & Spettacoli – pag. 31.

Ha riaperto i battenti, a sette anni esatti dalla sua prima apertura, il Museo Trans-Unto di Firenze, archivio di opere d’arte multimediali fatto sorgere all’interno di un vero appartamento abitato, la casa del suo ideatore, l’artista autore multimediale Lorenzo Pizzanelli.
Le opere catalogate nel Museo sono video, CD ROM o creazioni di altro tipo riversate su questi supporti, realizzate da artisti italiani e accuratamente selezionate per entrare a far parte di questa raccolta che è un’opera unica e originale a sua volta. Ne è testimonianza anche la performance di apertura, la “visita Guidata” che ha avuto luogo in via Torcicoda il 15 Agosto scorso.

Cronaca di un Ferragosto particolare
scegliendo questa come data per la performance di apertura del Museo Trans-Unto, Pizzanelli ha fatto capire che di certo non intendeva organizzare un evento mondano, anche se sia la “Visita Guidata” che lo stesso Museo sono nati per il pubblico e con lo scopo di far riflettere sulla modalità di fruizione dell’opera d’arte contemporanea. Niente atmosfera da vernice con abito lungo e buffet dunque, ma una gentile signora che all’arrivo mette tutti a proprio agio offrendo bicchieri d’acqua ristoratori e fette di cocomero.
Nonostante calendario e condizioni climatiche avverse comunque, a Firenze fuori della porta di casa Pizzanelli c’erano circa una cinquantina di persone, molte delle quali arrivate in via Torcicoda con il bus navetta partito da un luogo simbolo, gli Uffizi, museo di eccellenza, con a bordo la guida-direttore-artista Pizzanelli e tre figuranti raccolti lungo il tragitto: la Nike di Samotracia, con ali di cartone, scarpe firmate rigorosamente Nike e con la scritta “wanted” sulle parti mancanti nell’originale in marmo, come le braccia e la testa; il David di Michelangelo con le nudità e la testa riprodotte da fotografie dell’originale, e una splendida Giuditta di Donatello che brandiva ancora la spada.
Una volta arrivati a destinazione hanno inizio le visite guidate, a gruppi di 10-12 persone alla volta. Sulla porta d’entrata al terzo piano, sotto l’insegna al neon del Museo, ci aspetta il custode, fez sulla testa, muto, con un sonaglio in bocca che emette strani fischi per indicarci la strada. La guida-direttore, parlando con voce registrata, ci invita ad entrare nel corridoio vasariano e da lì da inizio la parodia di una visita guidata in un museo casalingo, dove riproduzioni di opere di artisti famosi si alternano a a produzioni domestiche di piatti sporchi, lavatrice e frigorifero nel “Kitsch in the kitchen”, dove puttini mantegneschi nello “studiolo” (bagno) prendono la mira dal soffitto su un duchampiano water-orinatoio contaminato dalla scritta “L.H.O.O.Q.”, per passare poi, con grande effetto sorpresa dopo le prime stanze vuote, alla “camera degli animali”, dove un uomo vestito di nero e una donna in bianco (sposi?) giacciono come defunti su due letti gemelli, con ai loro piedi un mucchietto di paglia su cui è adagiata una scimmietta di peluche. Una sacra natività darwiniana alla rovescia, dove l’uomo regredisce in scimmia e la vita invece di andare avanti lascia il posto alla morte, se non fosse che si sente miagolare un gatto vero da sotto il letto…un fuori programma ? Probabile come il telefono di casa che si è messo a squillare non è stato uno dei cellulari dei Fu-Turisti (i visitatori, così ride-nominati dal direttore)…
La visita all’”armadio degli scheletri” (lo sgabuzzino) è consentita ad una sola persona alla volta, come si confà ad ogni sala particolarmente preziosa di un museo che si rispetti. Attesa carica di suspence in rigorosa fila indiana, con il fortunato visitatore che entra in quest’antro buio insieme alla guida, per scoprire poi che i tesori in esso custoditi altro non sono che vecchie tele accatastate, scheletri di un’arte che fu, stipate insieme a scarpe vecchie e lucidatrice. Il gran finale viene consumato nella “camera ardente”, la stanza più fresca della casa (pardon Museo) a dire il vero. I bianchi sudari alle pareti testimoniano l’avvenuta morte delle opere d’arte contemporanea, mentre al centro della stanza, su un tappetino verde, campeggia la “bomba museo” che scoperchiata ad arte dal custode, rivela alla vista e all’udito due cyber grilli che con il loro canto annunciano il calo del sipario come quello della sera.
Intanto all’uscita i tre figuranti intrattengono il pubblico in attesa continuando a muoversi con gesti rallentati in mezzo alle persone. Altro fuori programma: mentre prendevo appunti per fermare le impressioni della giornata e scrivere questo pezzo, la Nike si avvicina e prendendomi la penna mi autografa il foglio con una “W”, mettendo nero su bianco il gesto di vittoria che continua a fare con le dita…

Un’opera d’arte “istituzionale”

Essendo fiorentina ma bolognese di adozione spesso mi domando quale delle due città io preferisca e la mia risposta di solito, per liquidare in breve una questione così difficile, è che sono diverse, hanno atmosfere diverse, l’una Rinascimentale l’altra Medievale. Le città hanno, o noi attribuiamo loro, una identità, anche artistica, che le contraddistingue, che ce le fa apparire come una immagine ai nostri occhi e definire con con una sola parola nei nostri discorsi.
Così ad esempio pensando all’arte tecnologica viene in mente Torino, città industriale per eccellenza e con una lunga tradizione scientifica alle spalle. Spesso le città vivono di questa identità ed è in base a questa che orientano anche certe scelte per mantenerla
Eppure…
Eppure come ogni schematizzazione che si rispetti anche questa esiste per essere infranta e contraddetta, basti vedere come ad un esame più approfondito queste nostre personali definizioni non corrispondono proprio alla realtà dei fatti. Riguardo all’arte contemporanea poi, nell’area fiorentina esiste ad esempio tutto un sottobosco di artisti che si occupano da tempo di arte tecnologica e digitale, come Massimo Contrasto, i GMM, Tommaso Tozzi, Federico Bucalossi, e lo stesso Lorenzo Pizzanelli, solo per citarne alcuni tra i più conosciuti, e spesso questi artisti si sono trovati a muoversi in mezzo a mille difficoltà anche perché non sostenuti a dovere da istituzioni e strutture altrove orientate.
E’ questa realtà che Pizzanelli ha voluto far emergere, tra le altre cose, aprendo un Museo a casa sua. Lo ha fatto ironicamente, a modo suo come sempre, ribadendo comunque quello che è evidente e cioè che Firenze, non ha un museo di arte contemporanea (non ancor almeno); impensabile quindi un archivio di opere d’arte multimediali. Non vogliamo qui muovere delle critiche o fare polemica, anzi, come abbiamo cercato di dire sopra, è una realtà quasi fisiologica, senza contare il fatto che non solo la creazione e l’esposizione, ma soprattutto la conservazione delle opere multimediali sono alcuni dei temi all’ordine del giorno di questi tempi, sui quali si aprono dibattiti un po’ in tutto il mondo. Il Museo Trans-Unto mette in gioco tutto questo e una volta aperto al pubblico come archivio di opere multimediali, porterà a compimento anche tutta una strana miscela di contraddizioni, diventerà un ossimoro “vivente, in quanto realizzazione sottile e pungente di quell’ unione tra arte e vita quotidiana tanto auspicato dalle avanguardie, specie da questi Futuristi citati anche dal direttore con l’appellativo Fu Turisti, che al tempo stesso però deprecavano ogni tipo di realtà museale. Realtà a sua volta messa in discussione oggigiorno anche dalle nuove esigenze create dalla stessa arte tecnologica che si accinge ad ospitare. Non per niente Pizzanelli ci tiene a precisare che usa il termine museo nella sua antica accezione, quella di luogo sacro alle muse. Il suo è dunque un modo particolare di affrontare la questione, molto personalizzato come lo sono sempre le sue opere, tipicamente fiorentino nell’acume graffiante e nella tensione intellettiva generata dal significato simbolico emanato da ogni dettaglio. Il Trans-Unto però è opera d’artista, non certo risposta definitiva alle esigenze di esposizione e fruizione di un’arte dei nuovi media che una volta conquistato il suo spazio estetico di comunicazione deve trovare anche la giusta dimensione di vita in uno spazio sociale che non può più essere il museo tradizionalmente inteso.

Il museo Trans-Unto di Firenze che meriterebbe già un premio per il nome, è una istituzione nata dall’estro del suo eccentrico e sornione direttore, Lorenzo Pizzanelli, il quale ha scelto il proprio periferico appartamento come luogo d’arte.
Sabato 8 dalle 21 la prestigiosa sede del museo, in via Torcicoda 115/1. ospita “ Happening stoico” Ariella Vidac, visibile in diretta tramite video monitor dai sottostanti portici del condominio, danzerà attraverso gli spazi del Trans-Unto. Al termine della danza sarà possibile visitare l’appartamento-museo “a gruppi di 20 persone alla volta per una durata di massimo dieci minuti, creando così il tipico effetto Grande Expo” (sono parole del Pizzanelli). Domenica 9 sarà possibile visitare senza prenotazione dalle ore 15,30 alle 19, una mostra con opere di vari autori tra i quali Daniela Perego, Derno Ricci, Michelangelo Tomarchio Levi, Tommaso Tozzi. Un ghiotto programma, consigliato agli appassionati d’arte contemporanea che apprezzano anche il senso dell’umorismo.

da Arte -Da L’unità – pag. 24 -MARTEDI’4 APRILE 1995